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Dieg. Taci, bugiardo. Il traditore dopo nove mesi mi abbandonò sul pretesto di qualche affare, che lo richiamava alla Patria, e da quel momento in appresso non ne ho più avuta altra notizia, che quella di sentirlo con mia somma sorpresa sposo di un’altra.

Ghig. Eh via andæve asconde[1], sciô Tiritoffolo, che doveresci aveì vergogna[2] d’avei fæto un’azion de questa sorte.

Tirit. Ve diggo, e ve zuro, che non ho mai visto questa figura. Non a conoscio da o louo; asseguræve, che a l[']e un-na calon-nia, un’impostua che me fan questa canaggia maledetta.

Dieg. Ah infame! ah crudele! Ardisci darmi una mentita? Sai benissimo, e ti si legge in volto la tua confusione, che se non fossero state le tue false lusinghe sarei ancora nello stato di quiete, e tranquillità, in cui mi trovavo. Barbaro! Tu mi hai ridotto a rappresentare il tristo ritratto di una persona immersa nella miseria, e nella disperazione. (piange)

Ghig. (intenerito, con le lagrime agli occhi) Non me posso ciù trategnî. Povera zovena, bezœugna che cianze a sò desgrazia! andæ, andæ, sciô Tiritoffolo, che seì quarcosa de bon. L’è stæta un-na providenza dro çê, che agge scoværto un-na baronata de questa

  1. a asconde
  2. vergœugna