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P. MEYER e il FRANCO-PROVENZALE.



Fra gl’incoraggiamenti più autorevoli e più preziosi, di cui l’Archivio glottologico s’è potuto rallegrare, vanno di certo quelli che il signor Paolo Meyer gli ha così cordialmente impartito, per due volte, nelle informazioni sugli studj neo-latini da lui mandate alla Società filologica di Londra[1]. La prima volta egli vi portava il suo benevolo e anzi generoso giudizio intorno ai Saggi ladini, cui era dedicato il primo volume di questa raccolta; e l’altra parlava, non meno benevolmente, della prima parte degli Schizzi franco-provenzali, che si vengono stampando per il terzo volume, insieme con questi ultimi fogli del secondo.

Ma alcune obiezioni, d’ordine critico, risguardanti gli Schizzi franco-provenzali, che il Meyer deponeva, come in germe, nelle informazioni sopradette, si videro poi sviluppate in un’altra e pressochè simultanea relazione, che lo stesso Meyer dava degli Schizzi medesimi nella Romania (IV, 294-6). Poichè a lui dunque pare opportuno d’insistere in codeste obiezioni e di allargarle, sembrerà lecito, e quasi debito, che l’Archivio non tardi a esaminare quanta sia la consistenza loro.

Muove il Meyer da un’obiezione d’ordine generalissimo. Nessun gruppo di dialetti, comunque si formi, costituirebbe mai, secondo la sentenza sua, una famiglia naturale, per la ragione, che il dialetto, il quale rappresenta la specie, altro non è egli medesimo se non una concezione, abbastanza arbitraria, della mente nostra. Noi scegliamo, prosegue egli, nella favella d’un dato paese, un certo numero di fenomeni, e ne facciamo i caratteri di codesta favella. ’Cette opération (si scusi ora l’allegar

  1. Sodo comprese nel terzo e nel quarto Annual Address of the President to the Philological Society, delivered at the Anniversary Meeting; Londra, 1874 e 1875.