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342 GIORNALE UGUSTICO

XVII.

Lamento de Nostra Dona de la passion.


1.
Veniti alla croxe
a veder lo mio amor,
et pianzi in ata voxe
lo mio gran dolore.

2.
Veniti alla croxe,
e poni mente,
e si vederai como pende
lo mio fijor innocente.

3.
O anime devote,
chi lo amai devotamente,
pianzi cum mi dolente
la passione.

4.
Or pianzi la testa,
che lo me fijor inclina
inver mi povereta
de dolor tuta pina.

5.
Fin a l'osso passava
la corona de la spina:
oimè tapina,
che non moiro de dolore!

6.
Pianzi li doce ogi,
chi fon oscurai,
chi illuminavan
tuti li acegai:

7.
lo sangue insia da la testa,
chi li à denegrai,
e si gi fon inbindai
como a un lairon.

8.
Pianzi la faza
e lo doce vixo,
chi è allegreza de li angeri
de paraixo.

9.
Li Zuè si l'àn spuao
e ferio cum gran riso;
or è morto e lisivo
senza colore.

10.
Pianzi la boca,
e la santa lengua:
fel e axeo ponzente
fo la soa bevenda.

11.
Lo mio fijor aveiva see
per li tormenti et la peina,
et mi maire dolenta
non lo poeiva secorrer.

12.
Pianzi le main sante,
chi son si scarzae
cum grossi agui de ferro
alla croxe ihavai:

13.
le braze for de lo corpo
quasi gi àn strepai;
averte stan cum pietae
a ogni homo peccaor.

14.
Pianzi lo lao
de lo mio doce spoxo
cum la lanza squarzao
fin allo cor pietoxo.

15.
Aigua ne insia
e sangue precioxo:
lo mio cor si penoxo
si è ferio de dolor.

16.
Pianzi lo corpo
tanto flagellao,
che per ogni parte
si l'àn impiagao.

17.
Oimè dolenta
chi l'avea portao!
Lo mio cor à passao
un iao de dolore.

XVII. V. 5 e Mtf. — Anche la ricostruzioae di queste strofe ci destò molti scrupoli» ed era più giusto forse accoppiare i versi: Veniti alla croxe e poni menu^ e si vederai corno pende lo mio fijor innocente. O anime devote chi lo amai devotamente, pianai cum mi dolente — la passione, ecc. V. 23. —Non elidendo U i di chi s* ha un k- nario, per il nostro poeta possibile; ma qm, e in luoghi simili , ci sorge ancora il dubbio che i versi non si dovessero appaiare : Pianri li doce ogi, chi fon oscurai, chi illuminavan tuti li acegai ecc. (') F. Lxxx r. V. 35. — Nel ms. Itstuo. Quid? Il nostro litho non vuol dir nulla e non è una proposta; ab- bismo fatto non altro che collocare i ponti si^ i del ms. e volgere m in v, ma senza nicgard in modo soddisfacente la parola. S' ha « le^;ere « // scuo (scuro) ? • La rima o assonanza non lo vorrebbe friso : - io), ma pazienza ! Peggio è che il ms. non permette di leggere cod, perchè altrove il nesso se è espresso chiarafncnte, e ncm s* ha una grafia st. V. 61-62. — Q^i s* offrirebbe tanto ^Kmtanea la forma dell' endecasillabo: « Pianai lo corpo tanto fageUmo, » V. 6$-66. — Egiislmcnte qui: « Osmi dolenta^ ehi Vavea portmo »